I VOLTI DI A.LI.VE. – UNA VITA DEDICATA ALLA CHITARRA

A cura di Alice Martini

Una chiacchierata con Claudio Moro, insegnante di chitarra in A.LI.VE., che da molti anni porta in Accademia la sua esperienza, frutto di  numerose collaborazioni musicali. «La mia più grande soddisfazione? La nascita della piccola orchestra di chitarre di A.LI.VE.» ribadisce il maestro.

Mi racconti la sua carriera accademica e lavorativa

«Non ho mai conseguito titoli musicali “ufficiali”: mi stavo preparando per l’esame del quinto anno al conservatorio, parliamo quindi di un discreto numero di anni fa, quando la vita mi ha trascinato da altre parti. Ho comunque avuto la fortuna di studiare e lavorare con dei bravissimi strumentisti e degli ottimi insegnanti, suonando dall’età di tredici anni, con grande passione e risultati alterni. Ho avuto uno stop di dieci anni per una crisi esistenziale sull’utilità del mio fare musica ma poi ho ripreso, per fortuna, ed ora è il mio lavoro a tempo pieno.

Nella mia vita ho suonato con moltissimi gruppi, cantanti, cori ed attori, elaborando metodi e collaborando a numerose registrazioni. Sono più di quarant’anni che insegno chitarra e molti dei miei allievi sono dei bravissimi musicisti. Ciò detto, mi sento molto più vicino alla stazione di partenza che a quella di arrivo: ogni giorno, o quasi, mi stupisco e mi emoziono per l’ascolto di artisti o semplici musicisti sconosciuti. E quando dico “semplici” parlo di umiltà e dedizione, di talento e humour, di gioia e sofferenza consapevoli».

Come ha conosciuto A.LI.VE.? Cosa ne pensa dell’Accademia?

«Ho conosciuto A.LI.VE. direi abbastanza per caso: sono piuttosto versatile per quanto riguarda i generi che pratico e mi è capitato di suonare nel Concerto del Coro della Rete Musica, in Piazza Brà. Da lì è pian piano nato il rapporto con il maestro Paolo Facincani, che mi ha dato fiducia e mi ha subito coinvolto nelle attività dell’Accademia. E io mi ci sono tuffato! Cosa penso di A.LI.VE.? Come detto ho cominciato a insegnare chitarra alla fine degli anni settanta e sono sicuro di aver trovato raramente un’atmosfera così vivida, vivace, quasi frenetica, impegnativa e coinvolgente, dove il coinvolgimento richiesto è sempre elevato ed altrettanto elevati i risultati perseguiti e conseguiti».

Qual è il suo rapporto con gli allievi?

«Il mio rapporto con gli allievi mi sembra ottimo! Con gli anni, ho scoperto quanto sia bello e appagante vedere bambini, ragazzi, adulti crescere nell’abilità con lo strumento, ma, ancora di più, nella consapevolezza di “usare” la musica e la chitarra per creare relazioni, come uno dei mille mezzi per cercare di stare bene, o meglio, al mondo. Sono sempre stato convinto che il mio compito fosse quello di un educatore, per tirare fuori quello che c’è dentro a chi mi sta di fronte, non di riempire sacchi vuoti. Non sopporto l’idea del musicista come un sacerdote che ti inizia a mondi esclusivi e altrimenti inaccessibili. È una grossissima responsabilità! Io sono un artigiano e come tale devo tutti i santi giorni lavorare. E spero che i miei allievi portino a casa tutto questo: amore, passione, rispetto, sudore della fronte».

Quali aspettative ha da questi corsi?

«Dai corsi mi aspetto di mantenere ben vivo tutto quanto detto sopra: di partire da casa e di tornare a casa con gioia».

Qual è stata la maggior soddisfazione dei suoi anni di insegnamento in A.LI.VE.?

«Le soddisfazioni direi che sono state molte. Forse, così come per il maestro Bruno Matteucci, la mia è la nascita della piccola orchestra di chitarre di A.LI.VE.: è stata ed è tuttora una grossa emozione. Di questo devo ringraziare il maestro Facincani che ci ha creduto e mi ha sempre spinto all’azione. Sono cinque ragazzi, attorno ai dieci anni, che amano quello che fanno e si divertono tantissimo. Spero tanto che l’attuale situazione di clausura forzata non comprometta il lavoro fatto. Ma penso di no. La voglia di fare non manca!».

Quali sono le sue aspettative e progetti per il futuro?

«Aspettative e progetti particolari direi proprio che si concentrano sull’orchestra. È nata una fertile collaborazione con il maestro Matteucci e, seppur per un unico episodio, direi che i risultati sono stati lusinghieri. Mi appagherebbe molto che l’orchestra di chitarre potesse crescere un po’ di numero, ma soprattutto in qualità e stile. Mi piacerebbe inoltre, ma si sta già lavorando in tal senso, aprire l’esperienza ad altre realtà simili in altre città italiane. Vedremo.».

Qual è la sua opinione sul panorama artistico culturale in Italia?

«Una domanda a cui è estremamente difficile rispondere. Mi pare che fermento ce ne sia molto, ma sia sempre più difficile pensare ad un lavoro come musicista. È sempre tristemente in voga la storiella riguardante il fatto che fare il musicista non sia un lavoro ma che si faccia solo per divertimento. Penso ora alla musica dal vivo che è sempre più bistrattata, è sempre stata la “Cenerentola” e sembra dover comunque rimanere tale. Il momento attuale ha ribadito, se ce n’era ancora bisogno, che il settore della cultura, in tutti i suoi aspetti, non sia tenuto molto in considerazione. I problemi sono altri certo, ma nessuno mi leva dalla testa che fare cultura sia pensare al futuro, alla sua qualità, cultura è quanto di più concreto un politico possa pensare. Se ha cervello e vede più in là del proprio naso!>>.