I VOLTI DI A.LI.VE.: IL MAESTRO BRUNO MATTEUCCI SI RACCONTA

A cura di Alice Martini

Bruno Matteucci collabora da alcuni anni con A.LI.VE. come maestro di clarinetto, data la sua grande esperienza come insegnante e la partecipazione in diverse orchestre tra cui l’orchestra della Fondazione Arena di Verona. Ci parla del suo rapporto con gli allievi e della sua visione del panorama artistico culturale in Italia.

Mi racconti la sua carriera accademica e lavorativa

«I miei studi sono iniziati con gli insegnamenti musicali di mio padre che era stato un grande amante della musica e direttore di diverse bande musicali. All’età di 12 anni mi aveva convinto ad entrare in Conservatorio è e così erano iniziati i miei studi accademici. Mi sono diplomato nel 1984 con il massimo dei voti, ma già dall’anno precedente avevo cominciato a collaborare con diverse orchestre lirico-sinfoniche. 

Tra queste anche la Fondazione Arena di Verona che aveva preso il mio cuore. Ricordo ancora la mia prima opera in orchestra: era “Aida” di Giuseppe Verdi. Ho provato una grande emozione, alzando la testa dopo aver montato il mio clarinetto, nel vedere tutte quelle persone che applaudivano felici allo spegnere delle luci, un’emozione che per fortuna provo ancora».

Come ha conosciuto A.LI.VE.? 

«Molti anni fa ho cominciato ad ascoltare alcuni spettacoli dei ragazzi di A.LI.VE., rimanendo sbalordito dalla preparazione e dalla bravura dei ragazzi. Avevo notato che cantavano e recitavano con molta facilità e nello stesso tempo si divertivano e avevo pensato che mi sarebbe piaciuto trasmettere la mia esperienza a ragazzi così. Poco tempo dopo il mio desiderio si era realizzato: il Maestro Facincani mi aveva contattato, chiedendomi se mi sarebbe interessato insegnare clarinetto presso A.LI.VE. Ovviamente ho accettato subito con entusiasmo». 

Cosa ne pensa dell’Accademia?

«Di A.LI.VE. penso che sia un luogo in cui gli insegnanti e i ragazzi abbiano la possibilità di crescere insieme con l’esperienza della musica, del teatro, del lavoro di gruppo e singolo, fino a trasformare tutte le conoscenze in bellezza, armonia, divertimento ed emozione».

Qual è il suo rapporto con gli allievi?

«Con i miei allievi penso di avere un buon rapporto e devo dire che sono proprio fortunato perché ho veramente dei ragazzi in gamba, con cui mi diverto molto, sono molto contento del loro percorso musicale».

Quali aspettative ha da questi corsi? 

«Dai corsi in A.LI.VE. mi aspetto semplicemente di riuscire a portare i miei allievi con me in questo viaggio infinito che è la musica e di lasciare loro quanto più posso della mia esperienza».

Qual è stata la maggior soddisfazione dei suoi anni di insegnamento in A.LI.VE.?

«La mia più grande soddisfazione è stata quando, per le prima volta, ci siamo esibiti in pubblico con la piccola orchestra di A.LI.VE. Un momento memorabile in cui ho visto i ragazzi partecipare con un entusiasmo e una voglia di fare bene che mi ha toccato».

Quali sono le sue aspettative e progetti per il futuro? 

«Progetti per il futuro tanti, ma in particolare inerenti alla piccola orchestra di A.LI.VE., che ha preso corpo da un’idea mia e del Maestro Facincani. Insieme abbiamo un sogno, quello di riempirla di giovani che abbiano un comune desiderio: cioè quello di suonare insieme creando un gruppo che si muove e respira musica».

Qual è la sua opinione sul panorama artistico culturale in Italia?

«La musica, tutta di qualsiasi genere e tipo, è un dono da preservare e donare all’essere umano, soprattutto con spettacoli dal vivo perché è lì che si sente la vera forza dell’interpretazione musicale. 

In questo momento questo tesoro è sospeso dall’arrivo del COVID e la sua mancanza si fa sentire. A prescindere dal momento però, ritengo sarebbe giusto che le Istituzioni avessero più a cuore la nostra tradizione lirica perché, diciamocelo: le opere di alcuni tra i più grandi compositori, come Verdi, Puccini, Mascagni, Donizetti, Bellini, Rossini, Leoncavallo e Giordano sono un patrimonio ed eredità italiani e andrebbero continuamente apprezzati e preservati.

Noto invece una scarsa attenzione istituzionale, anzi, ho sentito anche dire che la tradizione della lirica fosse ormai finita, mentre invece ho partecipato a molti spettacoli eseguiti per le scuole, con teatri pieni di giovani e bambini, in cui le reazioni alle varie arie interpretate erano di applausi scroscianti e urla da concerto rock, tanto da vedere grandi solisti commuoversi. Ho visto i teatri di Verona popolati ad ogni titolo eseguito, e non parlo della stagione areniana, ma della stagione invernale al Filarmonico. Mi aspetterei un’attenzione diversa dal nostro governo e dal nostro Ministro della cultura. In questo particolare momento si parla dell’essere italiani e anche i teatri lirici e il teatro in genere dovrebbero far parte delle loro attenzioni: sono molto amareggiato dal vedere che questo non succede o meglio venga considerato in maniera secondaria a differenza del resto d’Europa».