ALIVENews INCONTRA ENRICO DE ANGELIS

Giornalista, profondo conoscitore della canzone d’autore italiana, Enrico de Angelis ha vissuto, raccontato e premiato la lunga tradizione della canzone d’autore italiana e ne ha osservato attentamente i cambiamenti e le evoluzioni. In vista dei concerti a cui prenderà parte nel chiostro di Sant’Eufemia, percorriamo con lui la sua carriera, i suoi aneddoti e i suoi pensieri su un mondo in continuo cambiamento come la musica e l’industria discografica.

Oggi vorrei far viaggiare i nostri lettori nella storia della musica italiana assieme a lei. Partiamo? Bene, inizierei così allora: lei, come giornalista, si è spesso interessato ai temi degli emarginati della società, dei deboli. Impossibile non pensare a Fabrizio de André, che ha saputo coniugare la sua poesia con temi sociali delicati e spesso rimasti inascoltati. Come pesa nel panorama musicale odierno l’assenza di un autore che parla della società, degli ultimi e degli emarginati? La musica non dovrebbe essere anche uno strumento per parlare di questi temi?

Nel panorama musicale attuale la funzione di denuncia sociale, anche riguardo ai reietti e agli emarginati (pensiamo ai migranti, che oggi sono veramente gli “ultimi” della nostra società, e non a caso dico “nostra”), è coperta prevalentemente dal rap. Ho qualche riserva, di tipo soprattutto artistico, sulla qualità di certi rapper e sulla ripetitività musicale del genere, che sta diventando veramente ossessiva; tuttavia resta una forma poetico-musicale come un’altra (oltre tutto niente affatto recente come origine) che si è dimostrata particolarmente sensibile alle problematiche delle disfunzioni sociali, e dunque ben venga. Ci sono comunque anche oggi validi cantautori che se ne occupano, Alessio Lega per esempio, ma bisogna fare lo sforzo di cercarli, scovarli nel web o nelle serate dei piccoli locali. Dal “mainstream”, dall’industria pseudoculturale, dalla televisione non aspettiamoci niente di tutto questo: oggi come oggi è una battaglia persa.

Da un genovese all’altro: Luigi Tenco, il famoso cantautore scomparso prematuramente nel 1967. Lei è stato per moltissimi anni direttore artistico del Club Tenco, organizzazione che premia ogni anno i cantautori italiani. Può raccontarci qualcosa sulla storia del Club e dei suoi premiati?

Non è possibile raccontare in breve una storia che per me è durata 45 anni, che ha mille risvolti, mille episodi, mille aneddoti. Il Club Tenco è nato nel 1972, quando i cantautori ancora non scalavano le classifiche di vendita, a parte casi eccezionali (proprio De André, per esempio). L’iniziativa fu di un geniale sanremese, Amilcare Rambaldi, che nella vita faceva tutt’altro lavoro (esportava fiori) e io gli sono stato accanto fin dal primo giorno. Da lì in poi abbiamo, mi sembra, contribuito non poco a promuovere e diffondere la canzone di qualità (quella “canzone d’autore” che, come gli studiosi hanno stabilito, proprio io per primo definii così sul mio giornale), e l’abbiamo fatto per pura passione: ognuno, appunto, viveva di altri lavori, e il “Tenco” l’abbiamo praticato con assoluto disinteresse economico e grande trasparenza culturale, etica e “politica” in senso lato. Quando gli artisti hanno capito questo, sono venuti tutti in massa da noi, orgogliosi di aderire a un progetto artistico, culturale e umano, senza mai chiedere i loro normali cachet: praticamente tutti quanti i cantautori italiani meritevoli, e molti di livello mondiale, da Léo Ferré a Chico Buarque de Hollanda, da Tom Waits a Charles Trenet, da Joni Mitchell a Tom Jobim, da Nick Cave a Caetano Veloso, da Patti Smith a Ute Lemper, ecc ecc.

Tra gli artisti premiati negli anni troviamo De André, Conte, Fossati, De Gregori (nella foto sottostante), Guccini, Fiorella Mannoia, artisti del passato e del presente. Come vede cambiata la situazione musicale italiana sia da un punto di vista melodico che, soprattutto, degli autori?

L’aspetto melodico, compositivo, è proprio il più carente. Non si inventa più niente dal punto di vista musicale. Le linee melodiche sono per lo più già sentite milioni di volte in altre canzoni. I testi presentano più inventiva, ma anche su questo piano si limitano per lo più a teoriche divagazioni esistenziali e “raccontano” poco: non si fanno quasi più canzoni narrative, storie in musica, e questa mi sembra una lacuna spiacevole, che privilegia l’astratto al concreto.

Dopo oltre quarantacinque anni di militanza nel Club Tenco e venti anni di direzione artistica lei ha lasciato il Club Tenco lo scorso anno. Riferiva, in un comunicato, di “conflitti di interessi nei dirigenti e la smania di legare il Premio Tenco ad altre iniziative del comune che rischiano di distruggerne la prestigiosa identità rendendolo simile al Festival di Sanremo”. Questa decisione come è maturata? Può spiegarci nel dettaglio le motivazioni che l’hanno spinta a lasciare il Club?

Le motivazioni sono tante e le ho dettagliatamente illustrate in due lunghi documenti destinati ai soci del Club. Impossibile spiegarli qui nel dettaglio. Negli ultimi tempi io e altri di noi non abbiamo più ravvisato, in certi orientamenti adottati a maggioranza dai colleghi che appartengono alla dirigenza del Club, quei nostri storici criteri di trasparenza e disinteresse di cui parlavo prima, e ce ne siamo distaccati. Io, in particolare, mi sono dimesso da direttore artistico dopo vent’anni di gestione con questo ruolo, da quando cioè era mancato Rambaldi. Sono emersi rischi di conflitti di interesse in dirigenti che si occupano di musica con continuità professionistica; una visione localistica del Club Tenco, come un piccolo centro di potere locale; un’eccessiva acquiescenza rispetto ad altre istituzioni, a cominciare dal Comune di Sanremo e conseguentemente il Festival di Sanremo, col risultato che il “Tenco” è stato presentato quasi come collaterale al Festival, perdendo l’autonomia e l’indipendenza amatoriale che lo ha sempre contraddistinto.

A seguito della sua decisione di lasciare, all’interno del Club Tenco ci sono stati grandi movimenti tra i soci e molti malumori. Come sta oggi il Club Tenco e quale futuro vede per questa importante organizzazione?

Il Club Tenco, dopo le mie dimissioni, si è quasi diviso in due. Alla prima assemblea seguita alle dimissioni, in ben 50 soci (quasi la metà) abbiamo chiesto l’azzeramento del Consiglio Direttivo in carica. Non è servito, anzi la dirigenza ha reagito con autoritaria arroganza rispetto alla base assembleare, e da allora tutta quella fetta di soci si è disamorata e non segue nemmeno più le vicende del Club, a cominciare dal sottoscritto. Perciò preferirei non pronunciarmi sul futuro del Club. Posso far notare, solo a mo’ di esempio, alcuni fatti oggettivi che parlano da soli riguardo agli attuali orientamenti: il nuovo direttore artistico ha più volte dichiarato, anche pubblicamente, di non avere alcuna stima e fiducia nei nuovi talenti della canzone d’autore (che da sempre era stata invece una delle nostre “missioni”) e ha infatti sempre agito di conseguenza; si organizzano serate che sono in sostanza normali date di singoli artisti; la giuria delle prestigiose Targhe Tenco, fino a ieri costituita da giornalisti specializzati, accuratamente scelti uno per uno per la loro passione e competenza in fatto di “canzone d’autore”, è stata ora allargata indiscriminatamente per cui le Targhe diventeranno un qualsiasi premio per la discografia italiana generalista. E così via.

La musica, in Italia, è sufficientemente valorizzata? Cosa ci manca per poter far emergere in maniera migliore giovani cantanti e musicisti?

Istituti fondamentali per la società civile, come la scuola e la comunicazione di massa (tv, radio, giornali cartacei o no, eccezion fatta per alcuni siti e blog musicali di ottima fattura), sono assolutamente carenti rispetto alla musica. E manca una specifica legge sulla cosiddetta popular music. Mancano molte cose, dunque. Poiché la palestra più utile per i giovani artisti è sempre l’attività live, dovrebbe esserci una maggior sensibilizzazione per promuovere, ovviamente anche dal punto di vista economico, l’attività mirata di teatri, teatrini, sale, locali, club, fossero anche piccoli e periferici.

A.LI.VE., come scuola, forma costantemente giovani cantori con repertori variegati e preparazioni molto precise per un’intensa attività concertistica. Cosa pensa dell’insegnamento musicale in Italia sia nell’ambito pubblico che in quello privato?

Credo che – nelle scuole dedicate s’intende, non nella scuola generica, come già detto – l’insegnamento sia buono da un punto di vista tecnico. Ma ciò riguarda soprattutto le capacità esecutive (e tra l’altro, mi sembra, più nella pratica strumentale che vocale), non però per le capacità creative e compositive. L’autore, insomma, è trascurato a favore dell’interprete. C’è poi un problema specifico che riguarda proprio la “canzone”: da alcuni anni lo studio della canzone è sì entrato in qualche università e in qualche corso accademico, ma non se ne coglie ancora lo specifico; a parte poche eccezioni, la canzone viene ancora affrontata o come un sottoprodotto della musica o come un sottoprodotto della poesia, e non invece come una forma autonoma che ha le sue leggi e i suoi parametri esclusivi.

Tutte le esperienze maturate l’hanno resa uno dei più grandi esperti italiani in maniera di musica d’autore. All’interno di IN CHIOSTRO VIVO lei presenterà un concerto eseguito da Claudio Moro alla chitarra e cantato da Giuliana Bergamaschi sulle canzoni d’autore che riguardano il tema dell’ecologia, come sarà questa serata? Cosa ci dobbiamo aspettare? Può parlarci del programma che porterà in scena?

Quando mi vengono chiesti degli interventi pubblici nella materia di mia competenza ci sono un paio di cose che mi piace perseguire particolarmente: la valorizzazione di artisti, anche locali, che meritano attenzione indipendentemente dalla loro fama (nazionale o no); e l’organicità della proposta, che cioè ruoti in maniera coerente intorno a un tema o a uno spirito unitario. Quando Paolo Facincani mi ha chiesto un’idea per IN CHIOSTRO VIVO, ho pensato che, in una serata all’aperto di quasi estate e in un ambiente bello come il Chiostro di Sant’Eufemia, ci stesse bene, in un mondo come il nostro insidiato addirittura nella sua sopravvivenza, un tema come l’ambiente, l’ecologia, la natura, minacciata o esaltata. Ci sono moltissimi autori, anche grandi, che hanno affrontato questo tema in canzone, con vari registri e varie tonalità, e noi ne proporremo alcuni esempi (non vorrei dire di più, per lasciarvi un po’ di sorpresa…). Per allestire lo spettacolo, è stato facile pensare a due artisti veronesi di grandi capacità: Giuliana Bergamaschi, con la quale tra l’altro avevamo già sperimentato in piccola parte lo stesso argomento, e Claudio Moro, che alla chitarra è un vero mostro. Io introdurrò le singole canzoni con informazioni e commenti.

Si terrà inoltre un concerto dove presenterà brani dell’infanzia scritti molti anni fa. Ad accompagnare la sua conoscenza troveremo il Coro di Voci Bianche di A.LI.VE., diretti dal Maestro Paolo Facincani con, alla chitarra, il Maestro Claudio Moro. Cosa ne pensa di un Coro di bambini tra i 5 e i 13 anni che portano sul palco musica scritta, composta e cantata oltre quarant’anni fa? Quanto è importante dare alle nuove generazioni queste nozioni in materia musicale?

Ecco, questa è una cosa geniale e ben messa in opera: l’avvicinamento dei piccoli a forme musicali – in questo caso “canzone d’autore”, se pur destinata, anche, all’infanzia – non “infantili”, nel senso di non puerili, non elementari, bensì intelligenti, raffinate, solo apparentemente “difficili”. È stato scelto, per questi bambini, un repertorio di autori sopraffini, da Vinicius de Moraes a Sergio Endrigo, da Gianni Rodari a Virgilio Savona a Bruno Lauzi, un repertorio che vale di per sé e che varrà sempre, indipendentemente da quando è stato scritto, come per un qualsiasi evergreen della musica tout court. Più che di nozioni musicali, si tratta anche di estetica, di valori umani, di cultura: non possono che far bene.

La prima tappa del nostro viaggio è finita, in attesa di incontrarci nuovamente nel chiostro di Sant’Eufemia. Un saluto per i lettori di ALIVENews?

Ricevo online la vostra rivista e ogni volta sono stupefatto dalla ricchezza di contenuti. Se i vostri interlocutori sono interessati a tutto ciò, sarò ben felice di rivolgermi a loro in questa occasione e in quelle future.

di Michele Marchiori